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Si accentua nella poesia di Giovanni Sato la misura partecipativa, quel proiettarsi sempre oltre la barriera della propria vicenda e della propria storia, in una sorta di interrogativo aperto, che è la scelta del futuro o, se si vuole, la scommessa con la vita. Di questa realtà totale Sato è il cantore autentico: un cantore mosso da un'inquietudine nervosa che lo spinge appunto a cercare senza riposo le ragioni dell'autenticità, a maggior ragione in Sabbia e luce in uno scavo dal buio e dall'ombra, tra le sabbie sulle quali si muovono i suoi passi di cercatore che fa i conti con quella clessidra che è il tempo. E la luce, inseguita e perseguita, diventa una sorta di calamita che rende ancora più potente l'attrazione verso quelle ragioni dell'autenticità di cui questa poesia si nutre. Così, sul fondale della scena, sempre si stacca il profilo delle cose durevoli, delle presenze che si rinnovano e continuano, il senso di una partecipazione alla vita destinato a sopravvivere non solo come realtà culturale ben al di là della morte. A imporsi in queste pagine è un respiro corale, quel respiro che, passando attraverso l'esperienza e le contraddizioni di ognuno, partecipa profondamente della natura e delle sue fasi, dei suoi cicli e delle sue stagioni. Il tutto espresso, con la particolare leggerezza e fluidità tipiche dell'autore, in una lingua reinterpretata con intonazioni personali che danno al verso lirico la misura di un racconto.