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È un divertissement che ha preso forma negli interstizi della pandemia, quando il tempo è sembrato dilatarsi e più forte è stato l'assillo di riempirlo. Evolve come un dialogo tra spettatori, in un giardino, l'unica metafora che l'autore ha saputo trovare per il confino collettivamente imposto quale primo antidoto. La suggestione d'apertura è il ricordo di un viaggio in un'altra città, l'ultima esperienza significativa di alterità. Il resto, in più parte e fino alla penultima composizione, è manierismo, il tempo viene impiegato per ornare la realtà, se proprio siamo chiamati a vivere in un giardino tanto vale che lo stesso sia sede di gioco e svago, di munifica libertà confinata. Adeguarsi ad un ambiente strutturato e denso di narrazione aiuta infine a trascendere anche il contingente punto di vista, come accade per il giardino proibito creato dai coniugi Frederic e Caroline Eden in un angolo appartato della Giudecca. Dove è bandito ogni giardiniere o visitatore, dove il giudizio umano è pure sospeso così come ogni suo agire, per non uccidere la meraviglia.