Araldica sforzesca tra Pesaro e Milano di Baffioni Venturi Luciano - Bookdealer | I tuoi librai a domicilio
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Araldica sforzesca tra Pesaro e Milano

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Il termine araldica deriva da Herold, araldo (nell'antica lingua franca hari-wald significava uomo di fiducia del re). Compito dell'araldo era la custodia e la manutenzione delle armi dei signori. L'araldo nelle sfilate e nei cortei, specialmente durante i tornei e le giostre, doveva identificare le insegne dipinte sugli scudi o ricamate sulle sopravvesti che i cavalieri portavano sulle armature, riconoscere da tali insegne i personaggi - anche se avessero avuto la visiera calata - e annunciarne i nomi, i titoli, le dignità. L'araldica studia ancora oggi - e molti la coltivano - gli stemmi gentilizi, cioè i segni grafici distintivi delle famiglie nobili (ma anche degli alti prelati: vescovi e papi, e delle città (insegne civiche), delle accademie culturali, delle associazioni, ecc.) e le regole che disciplinano la materia. Gli stemmi, detti anche armi o scudi (in relazione al primo scopo dell'araldica che fu essenzialmente "militare" e lo stemma appariva sullo scudo di guerra), sono la rappresentazione grafica con colori e disegni della famiglia nobile, a partire dal capostipite, alle cui insegne si aggiungevano in seguito quelle eventuali dei suoi discendenti e parenti acquisiti con i matrimoni. Questo libro descrive l'araldica di una delle famiglie più note tra Quattrocento e Cinquecento, i Visconti-Sforza, soffermandosi in particolare sulla storia dell'araldica della città di Pesaro, dove si stabilì per settant'anni (dal 1445 al 1513) un ramo degli Sforza, originato da Alessandro, fratello del più noto Francesco Sforza, duca di Milano. Gli Sforza pesaresi si imparentarono con nobili famiglie italiane dell'epoca (Varano, Montefeltro, Aragona, Bentivoglio, Gonzaga), ma non di meno rimasero fieri della loro araldica familiare, delle loro "imprese" e dei loro "motti" che esaltarono in quadri, rilievi, tombe, manoscritti, maioliche...

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