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"Dopo l'alluvione del 1951 in Polesine, presso le osterie del paese, gli ultimi barcari di Corbola saldavano quello che ancora sopravviveva del loro antico mestiere con quello che volevano lasciare alla memoria collettiva: si raccontavano, trasformandolo nella loro epopea, un lavoro duro di viaggi, di esperienze commerciali e umane. Questo tra tossi da tabacco moro e l'intercalare dei giocatori di carte, sulle incerate umide dei tavolini in legno affumicato dalla stufa a carbone e dalla polvere del tempo. Ascoltavo da bambina queste storie all'osteria del nonno, poi ho continuato a sentirle per molti anni ancora durante i filò estivi: le serate erano un monologo nostalgico tra l'uomo di fiume e il suo passato, inesorabilmente fuori mercato col trascorrere del tempo.Da un filò estivo all'altro dei vecchi mestieri d'acqua del paese non è rimasta neppure l'ombra, perché i vecchi se ne sono andati tutti, perché i burchi non esistono più, perché le pigre bettoline di metallo, che hanno solcato il Po fino a poco tempo fa, già rimandavano l'immaginazione a uno stile di vita d'oggi, piatto e non evocativo." (L'autrice)