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«In Oriente s'appiccò la guerra / che ora ha il mondo per teatro. / Come l'altro, è infinito questo gioco» (Borges, Scacchi I). Bianco/nero. Dentro/fuori. Notte/giorno. È un gioco in codice binario quello proposto al lettore in DiAria, una riflessione e uno sberleffo ai lunghi mesi in cui ci ha serrati il coronavirus. Ma delle disgrazie si dovrebbe anche poter - oltre che commuoversi, certo - ridere, sempre. O almeno sorridere. Appenderle al sole. In DiAria, a sinistra scorre una breve narrazione, un filo rosso innamorato, un pensiero laterale che collega tra loro i pezzi che scorrono di là (pagina a fianco), accompagnati da una scelta grafica tipo le animazioni che si facevano da piccoli: disegni sull'angolo in basso del quaderno, quando lo sfogli hai la sensazione che l'oggetto si stia animando. E invece, sulla pagina destra, vignette disposte cronologicamente secondo la loro creazione e uscita sui socialini (Facebook etc.), con titoli che sono la maggior parte delle volte citazioni da canzoni, più o meno storpiate (anche qui un gioco: trovatele). La musica non c'è, ma si sente. La poesia c'è, e si vede. Si legge. Si sfoglia.