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Raccontare la malattia come una conquista. La conquista della fede e della percezione di un'umanità possibile. Raccontare la sofferenza solo per conquistare la libertà di uomo e di credente. Così, Luigi Battilo, comincia a raccontare la sua mobilità, la sua malattia. E lo fa muovendosi col pensiero e con l'azione del pensiero. Un percorso molto più faticoso e doloroso della malattia stessa. Eduardo Savarese, amico e scrittore, trascrive questo diario, questo percorso. Lo trascrive in silenzio e in ascolto. E ne rimane dentro, dentro l'estasi che si può raggiungere quando la rivelazione della fede è più forte del dolore fisico. Luigi Battilo non racconta e non ci lascia la malattia, ma ci lascia una preghiera che ha cercato, che ha sposato fino alla fine, trovando la vita stessa. Fermo non come condizione, ma per fede. "Ma insomma, se fossi stato bene non avrei fatto questo cammino, tutta questa strada. Cioè, ad un certo punto della mia vita, quasi per forza, ho dovuto interiorizzare e fortunatamente sono arrivato ad un risultato, ad un appagamento spirituale, nonostante le mancanze della carne. È per questo che sono felice". (Luigi Battilo)