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Romanzo impossibile popolato di voci che, di capitolo in capitolo, si ripropongono attraverso situazioni analoghe sostanzialmente irriducibili se non ad un'ambigua istanza temporeggiante giocata sul solco ironico di diversi moduli retorici (l'epistola, i frammenti di diario, le pagine di una confessione). Quello che fingo è, scopertamente, antecedente gozzaniano del "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. di Montale, alle origini d'una tradizione novecentesca insuperata e fuori tempo massimo che va da Landolfi a certi esercizi del primo Arbasino. Due parti compongono il libro: nella prima, che racconta passo passo la tragica commedia di esistenze colpevoli al cospetto della loro inconsolabile solitudine, tutto ha la cadenza dell'allusione lirica a un fatto " o a uno scandalo ", la sintesi del consuntivo e la laconica freddezza di una sentenza. Nell'altra, esempio unico nel suo genere, letteralmente, di teatro da camera, le identità si moltiplicano in diversi climi, quadri e latitudini al cospetto di loro stesse come l'uomo di fronte allo specchio borgesiano: battibecchi estenuanti, infimi litigi, goffe seduzioni inscenano il piccolo dramma borghese d'una coppia d'amanti sfiniti dall'impossibilità di vivere, al contempo, con e senza l'amato.