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Leggere "Amen in limine" e rendersi conto che è difficile "storicizzare" una poesia che non esiste più. Tuttavia, forse proprio in questo assoluto negativo risiede la potenza di questa voce. La voce del poeta canta nel deserto e non può risuonare che di se stessa. E già solo per questo la voce non può che generare la lingua dei morti. Quella che da sempre è la lingua della poesia. Il poeta scrive poesia come solo un disincarnato può scrivere. "Amen in limine" scompagina la vulgata editoriale della morte della poesia. Dissolve la deiezione inodore dell'intrattenimento para-televisivo in arte e in letteratura. Sconfigge il pregiudizio strumentale di un'arte che può intrattenere più o meno piacevolmente, magari rassicurare le coscienze come certa puerile letteratura noir oggi in voga, ma mai può aspirare a leggere il mondo per cambiarlo.