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Il diritto non è solo un sistema monolitico di norme, apparati e procedure consolidato e validato da una pratica di sapere millenario che ha imposto sempre più la sua autonomia sugli altri ambiti dell'esperienza umana, ma è esso stesso una prassi sociale di reciproco 'riconoscimento', un'esperienza che muove da un "atto di vita", un'energia trasformatrice che alimenta la capacità umana di ponderare e misurare l'eccedenza di vitalità propria di ciascun vivente al cospetto dell'alterità con cui si entra - volenti o nolenti - in relazione. Ciò che è in gioco - nel diritto come 'riconoscimento' - è l'attitudine e capacità dell'umano alla comprensione di sé nell'incontro con l'altro, l'emergere della consapevolezza che solo nel reciproco riconoscersi attivato dalla relazione con l'altro da sé, il farsi 'umano' dell'esperienza acquisisce le sue fattezze, così come ogni mancato riconoscimento dell'alterità incontrata nel mondo esterno o nella propria interiorità, provoca lesioni, offese, umiliazioni destinate a far scivolare l'esperienza individuale o collettiva nell'ombra inquietante dell'inumano e della disumanizzazione.