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«Accade non di rado che in opere cosiddette minori si esprimano, più o meno consciamente, velati da una sorta di discreto pudore o magari lasciati affiorare per stanchezza delle solite "maschere", certi segreti umori della sensibilità di un autore, certe sfumature del suo essere che a un'analisi appena un po' attenta si rivelano poi tutt'altro che casuali e irrilevanti, anzi al contrario essenziali per la comprensione di una poetica e, ancor di più, di un'anima. È il caso delle novelle di Oscar Wilde contenute nella raccolta Il Principe Felice, novelle che per molti aspetti possono essere considerate favole, anche se di un genere speciale: favole per adulti più che per bambini. È Wilde stesso a dichiarare - in una lettera a un amico, proprio come Dante a Cangrande della Scala a proposito della Divina Commedia - che scrive queste storie con un intento preciso, quello di proporre "uno specchio della vita moderna in forme lontane dalla realtà, di trattare problemi contemporanei in modi ideali, metaforici e non direttamente rappresentativi": l'intento di comunicare delle verità, anche e soprattutto tristi, e di proporre degli "esempi" di comportamento morale.» (Dall'introduzione di Silvio Raffo)