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Teatro in versi. Non certo una novità, ma sicuramente un genere non molto praticato ai nostri tempi, anche perché non facile, molto impegnativo. E impegnativo per la duplice necessità che impone: usare una parola che possa arrivare subito con forza, tenendo insieme l'energia, l'economia e l'intensità della vera parola poetica. Giuseppe Manfridi riesce a farlo, utilizzando un verso duttile, elastico, che corrisponda alla dizione dell'attore in scena, alle scansioni espressive della sua pronuncia. E non era facile, dato il tema prescelto, dove appare, mai nominato, o meglio ancora introdotto come emblema alluso e mito aperto, il personaggio di Pier Paolo Pasolini, nel suo muoversi sempre inquieto tra natura e storia, tra necessità e scelta, tra scrittura e pulsioni violente. [...] Poesia, dunque, pienamente leggibile sulla pagina, anche se già proiettata, nella sua efficacia drammaturgica, verso il vasto campo - visuale, dinamico e sonoro - della scena teatrale, per divenire azione, evento. (Dalla Prefazione di Maurizio Cucchi)