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"Le Civette", immutata collana all'interno di una rinata NEM, prosegue il suo cammino nell'intento di trovare opere prime di ricerca dotate di particolare lucore. "Demi-monde" di Silvia Righi riluce come un abitato inumidito da condensazioni acquee del quale è difficile delineare la geografia; come si sa l'umido è pervasivo e della stessa pervasività è fatto questo teatro in bilico, questo occhio che si spalanca mentre il sogno è ancora in corso. Non si afferra quando finisce il sogno e quando comincia la veglia, ma, occorre ricordarselo sin dal principio, non è questo l'importante. Nella sua attentissima prefazione Tommaso Di Dio mette in luce come in "Demi-monde" non sia più necessario avere forte presa su di sé, sul proprio presunto io soggettivo, tanto che perfino i pronomi si sfaldano e si liquefanno, occupando posti quasi arbitrari: siamo in molti si potrebbe affermare insieme ai demoni del Vangelo di Marco o alle personalità di Billy Milligan, ma non è nemmeno così. Io, Tu, Lei, la Creatura (i quasi-personaggi di questo libro) non sono le plurime sfaccettature di un soggetto, né sono i risvolti che appartengono ora alla coscienza ora all'inconscio, piuttosto si tratta degli esiti di un linguaggio che di mira ha il non linguaggio, o meglio poter dire le cose (finalmente) senza mediazioni. "Demi-monde", e con esso la stessa Silvia Righi, credo tentino di dire la vita del corpo, della pluralità tutta dei corpi nella loro pura biologia; e se giustamente il prefatore definisce quest'operazione erotica, si tratta proprio dell'eros muto dei gesti, delle posture e delle relazioni che tra essi si intrecciano e si ingarbugliano come nodi che un pettine non riesce a districare, bypassando il fatto che siamo presi dal linguaggio. Ovviamente entrambi falliscono, ma questo fallimento si chiama poesia.