Tab Article
«Le lacrime sono gravi eppur lievi - scrive nella Prefazione, il cardinale Ravasi -, intrecciano tragedia e grazia; anzi, presiedono al dolore e alla gioia perché se «il gemito è l'urlo del silenzio», è altrettanto vero che est quaedam flere voluptas, che c'è piacere nel piangere, come osservava Ovidio nei suoi Tristia (IV, 3, 27). Anzi, come diceva sant'Agostino, «nessuna cosa è talmente unita alla felicità quanto il pianto». Le lacrime, insomma, sono la «calligrafia dell'anima e dell'emozione». Lo sono anche per la stessa esperienza di fede. Il Salmista in un verso di straordinaria efficacia afferma che il Pastore supremo delle nostre anime, Dio, raccoglie nell'otre - che è quasi lo scrigno del nomade - le perle delle lacrime umane, registrandole una per una: «Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Salmo 56, 9). Per questo il maestro chassidico rabbi Mendel di Kotzk era convinto che «Dio preferisce le lacrime più delle preghiere», mentre il Bellarmino le considerava «il condimento della preghiera». Perché, come si scrive nelle pagine che si aprono davanti a noi, «la lacrima spegne il fuoco del peccato e attizza quello della grazia, è una cera che purifica l'anima incendiando il cielo». Purificato il cuore con il pentimento, «l'occhio vede bene Dio solo attraverso le lacrime» (V. Hugo). Queste e altre (molte altre) sensazioni, emozioni, riflessioni, intuizioni Charvet fa balenare nelle sue poche, dense eppur lievi pagine. La sua attenzione si fissa in particolare sull'amata "sensibilità barocca che ama dipingere i tratti di un viso che oscilla tra riso e pianto, gravità e leggerezza, esteriorità e interiorità". Soprattutto la musica lo aiuta a esprimere maggiormente la muta eloquenza del pianto. Il sontuoso apparato di citazioni - necessarie in un testo di questo genere - raggiunge il suo apice nell'armonia del linguaggio musicale, forse ancor più nitido di quello, pur decisivo, della visione pittorica».