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"Era molto interessante ascoltare Mons. Ugo Donato Bianchi Arcivescovo di Urbino, perché la sua parola semplice e convinta sulla salute, sulla malattia e sulla sofferenza colpiva per la profondità culturale e per l'esperienza a contatto con i malati. Da ogni incontro con lui si usciva con la convinzione di trovarsi di fronte a una persona tutta presa dal suo ministero pastorale, sempre pronta ad ascoltare con l'atteggiamento di chi vuol sempre imparare più che insegnare. Si sentiva più discepolo che maestro. Eppure insegnava. E come insegnava, con la parola ben calibrata e convinta e soprattutto con la vita tutta spesa per Gesù Cristo, l'ideale del suo sacerdozio... Si può parlare di lui come di una persona colta e amica, disponibile ad imprimere nella mente degli ascoltatori le idee fondamentali sulla fede cristiana... Non si può dimenticare l'ultima sua presenza tra gli operatori pastorali della sanità nel santuario di Loreto, dove ha pronunciato le parole che possono essere ritenute come il suo testamento sulla pastorale sanitaria. Siamo nel novembre 1998: «Pur avendo fatto qualche passo (nella pastorale sanitaria) e dicendo sinceramente grazie per questo cammino, io credo che dobbiamo farne di più, possibilmente insieme e in fretta: con chi è malato (ed è Gesù stesso in croce) non possiamo arrivare tardi. Dobbiamo arrivare in tempo e per questo i passi, i cuori e le mani debbono essere tanti... la trama di questa pastorale nella sua ordinarietà interpella tutti. Il dolore sprigiona amore e aspetta amore. Ha le mani alzate imploranti. Nel silenzio c'è un lamento che geme e c'è un urlo che chiama per nome. Sembra che non tutti ascoltino anche nella chiesa. Vi confesso con l'umiltà di un povero fratello: non è facile star male»" (dalla Presentazione).