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In eleganti versi, dove la memoria disegna il presente, Mario Scotti traccia un intenso commento poetico alla propria esistenza di uomo appassionato del mistero della vita; commento tanto più significativo e, se vogliamo, "stravagante", se si pensa che il ricordo di lui "è affidato, per i più, alla sua eccellenza di studioso di letteratura italiana, uno dei migliori dell'ultimo Novecento: alle sue indagini eruditissime e ad ampio raggio, allo scrupolo e alla solerzia del filologo, al fattivo promotore di iniziative editoriali... Chi abbia avuto la ventura di conoscerlo e frequentarlo a lungo e non solo formalmente non stentava a cogliere in lui una tenace convinzione che ne animava la sua attività di "ricercatore" e presiedeva al suo rapporto con la letteratura, e che traspariva anche nelle conversazioni in apparenza più divaganti: essere la poesia una forma d'amore per la vita. Non amare la poesia, non avere con essa una intimità quotidiana equivaleva per lui a disprezzare la vita, avere con essa un rapporto falsato, o quanto meno impoverito. Escludeva inoltre che possa esistere una civiltà o "Kultur" senza poesia; e, di conseguenza, che possa esistere una poesia esprimente un disamore per la vita".