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Viaggiatore eccentrico, disinvolto costruttore di miti, equilibrista della poesia, uomo di mondo e instancabile flàneur, al termine di un complesso itinerario artistico che lo porterà a incrociare alcuni dei frangenti più tortuosi dell'intero Novecento, Jean Cocteau confesserà di aver "scritto sempre e soltanto col proprio sangue, come fanno i prigionieri". La sua vasta produzione fatta di romanzi, poesie, film, disegni, libretti teatrali e d'opera, si proponeva di rappresentare l'equivalente di "un grido messo nero su bianco, non certo per il bisogno di farsi ammirare, ma per quello di essere amato". Per strada, nei camerini di un circo, ai margini del ring, a partire dagli anni Trenta Cocteau incontrerà alcuni fra i protagonisti di una rivoluzione culturale che, ora più di allora, sfugge alle cronache ufficiali, si dirama dal basso, non costruisce muri, ma apre spazi e infine produce poesia, anche se non in forma di parole. Sarà proprio Cocteau, col suo "inchiostro di sangue", a trovare le parole adatte in testi che ancor oggi rappresentano la controstoria di un teatro vissuto, pensato e giocato sempre fuori dalle scene e dalle convenzioni.