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Il pensiero è preceduto dal desiderio. Senza desiderio l'uomo non potrebbe neppure iniziare a pensare alla propria città: ad edificarla e a governarla. L'uomo è dunque costituito in modo tale che la sua attesa lo apre al pensiero. Questa attesa ha a che vedere con il suo futuro. Ora, si parla molto del nuovo. La questione è se questo nuovo avrà stretta parentela con il vero, con il buono e con il bello. Cosa questa tutt'altro che scontata. Avviene spesso, infatti, che il nuovo in politica rappresenti un peggioramento. Peggioramento che di solito ci si esorta a sopportare in nome di un futuro più radioso. Si tratta allora di saper discernere con prudenza perché non ci capiti di confondere il bene con il male soltanto perché quest'ultimo ci appare in veste di "nuovo". D'altra parte, e sarebbe cieco nasconderselo, il nuovo è sempre un'attuazione di qualcosa che emerge da una virtualità precedente e che in questa virtualità effettivamente si trovava (sebbene non nello stesso modo, o in tutti i modi). Sovente il problema che ci appare nuovo è già stato virtualmente posto e risolto, ma attende ed esige un'attuazione ed un'esplicitazione piena e completa. Il nuovo, dunque, è senza dubbio una novità reale, ma anche relativa. L'uomo vive in città per rispondere ad una propria esigenza naturale che lo costituisce come "animale sociale", oppure decide di edificare la città come rimedio ad una naturale disposizione ferina?