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La lettura di una vecchia conferenza di Martin Heidegger mi ha aperto nuovi orizzonti di riflessione e ha dato un senso di coesione a questo "materiale" erratico. In essa il filosofo tedesco, riflettendo in generale sul senso della tecnica, indicava l'abbandono (Gelassenheit) come quell'atteggiamento ambiguo che ci induce ad accettare e nello stesso tempo a rifiutare appunto i prodotti della tecnica: è, per usare le sue parole, "l'abbandono delle cose e alle cose". Ebbene sono proprio queste "cose" - che io ho inteso evidentemente in un senso più ampio di Heidegger, come tutto ciò che costituisce riferimento alla mia quotidianità e al mio essere "incarnato" - che ho voluto portare a tema in questa raccolta poetica. Parlando di tutto ciò da cui fuggo o in cui mi rifugio. Postfazione critica di Gabriele Zanello.