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In coerenza con le ormai pluridecennali opzioni storiografiche dell'autore, il libro vuole essere un ulteriore contributo alla ricostruzione di quella straordinaria vicenda intellettuale che è stato il pensiero giuridico di Roma antica. È dedicato all'analisi di significativi aspetti del rapporto fra alcune discipline esterne alla iuris scientia e il sapere di importanti giureconsulti: in particolare, Quinto Mucio, Trebazio, Tuberone il Giovane, Masurio Sabino, Giavoleno, Aristone, Nerazio, Celso figlio e Giuliano. Essi sono considerati nel contesto cui, da protagonisti, appartennero: la cultura romana. E come, del resto, apparvero ai coevi esperti nelle altre "bonae artes" e, più in generale, ai contemporanei. Si è tentato così di recuperare caratteristiche rilevanti di personalità scientifiche che hanno avuto tutte un ruolo eminente - talune addirittura fondamentale - nella giurisprudenza romana. Malgrado lo scetticismo o l'ostilità di molti 'romanisti', una storia 'negata' sembra dunque continui ad affiorare dall'Antichità.