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Una donna si racconta mentre la sua malattia progredisce inesorabile. Nella narrazione l'Alzheimer diviene occasione per i ricordi, forse meno dolorosi, e per gli affetti, che diventano più "visibili", disincagliati da remore e pudori. La malattia si rivela anche strumento per liberare gesti istintuali dalle convenzioni sociali che bloccano, nascondono, ci fanno diversi da quelli che siamo davvero: è un tramite per sentire ciò che l'uomo ha scordato, sopraffatto dalla durezza ingannevole e annichilente della vita di tutti i giorni. Per qualcuno non abbastanza sensibile, per quelli che non si ascoltano o non hanno abbastanza cose da dire, la malattia, e l'Alzheimer in particolare, è solo una dolorosa gabbia. Ma per altri, per chi sa "sentire" la vita, per chi non si tira indietro e l'affronta di petto, col sorriso e con le lacrime, rialzandosi notte dopo notte, mattina dopo mattina, la malattia può diventare ricchezza: una parte, dolorosa, della pienezza della nostra presenza su questa terra.