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La poesia di Elia Malagò ha un suo singolare timbro: un "parlare aspro" che si apre, a tratti, a modulazioni di dolcezza, una voce che, variando nei registri e nei torni, risponde, con nitida consonanza, al dispiegarsi del visibile, ai sussulti della memoria, alla luce delle apparizioni. Questa modulazione del vedere, e del sentire, in dialogo con il silenzio, è come la scena allestita per potere ascoltare il passo del dolore: un dolore che unisce l'intimo e il visibile, il corpo proprio e le figure di una comunità di viventi nella quale muoviamo i nostri passi.