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Capitini, maggiormente conosciuto in Italia per il suo impegno civile, di filosofo e pedagogista, fu poeta e letterato fine e rivoluzionario. Nella poesia vede «un atto di apertura illimitata, di contro alle chiusure, alle forzature, agli irrigidimenti», fino all'incontro con la religione, che per lui, fin nelle prime riflessioni filosofiche, è crogiuolo di un'anima infinitamente aperta. Quella di Capitini è dunque un'esperienza poetica di certo singolare: appassionato lettore di poesia, amò anche autori che avrebbe poi rifiutato, come i futuristi; s'interessò alla letteratura straniera, soprattutto ai classici e fu affascinato da autori a lui contemporanei, quali Luzi e Sereni. Influenze, interessi e affinità che condurranno tuttavia a un'esperienza poetica decisamente autonoma e particolare. Come afferma Daniele Piccini nell'introduzione a questo volume: «La scrittura poetica di Capitini emana un alone di solitudine, di irreparabile distanza, che chiede al lettore un'immersione fiduciosa e una sospensione di consuetudini e aspettative consolidate». Sono versi che, proprio nello sfumare l'eccezionalità, si aprono al desiderio comune di una poesia che vuole includere e non escludere, e resta l'espressione di una voce ancora oggi originale nelle scelte e significativa nel messaggio.