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Re, Principesse, Nani di corte, Sirenette, Streghe, creature misteriose, paesi fantastici e atmosfere suggestive. Con questi ingredienti Wilde costruisce quattro favole che pur rientrando pienamente in questo genere allo stesso tempo lo sovvertono. Il mondo fiabesco che Wilde inventa e col quale avvolge il lettore è una vera e propria arma per confutare, come è solito fare, convenzioni e cliché tramite uno spirito eccentrico e anticonvenzionale che anima ogni pagina e ammicca, quasi sornione, al lettore. Queste fiabe sono prive di finalità didascaliche e si presentano piuttosto come pure invenzioni, frutto del genio esibizionista dell'autore, dotate di un'antimorale o meglio della morale wildiana dell'immoralità. Fiabe adulte, verrebbe in mente di dire, perché accanto alle atmosfere impalpabili proprie di questo genere. Tramite la velata critica alla società vittoriana inglese, personaggi che camminano sul perimetro che divide sogno e veglia, tramite l'esaltazione dell'infanzia come unica portavoce di un'ingenuità onirica, e un sostrato di provocazione sempre attuale. Favole, insomma, che racchiudono tradizione e trasgressione, ma che alla fine si abbandonano al loro epilogo comunemente riconosciuto: l'etica, l'insegnamento che spesso però coincide con un vagheggiamento, un evento fortuito, un miracolo che appena si volta mostra il suo ghigno ironico.