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Questa raccolta rappresenta una sorta di finestra aperta sull'animo tormentato di un'autrice complessa e inafferrabile. Dal punto di vista contenutistico l'unico, autentico filo conduttore della silloge di Alessandra Manfreda può essere individuato nella tensione verso l'indagine introspettiva, che trasuda da versi sofferti e sinceri capaci, pur nel loro ermetismo concettuale, di mettere a nudo uno spirito estremamente problematico e plurisfaccettato. Sicuramente inquieto, ma anche aperto alla contemplazione, alla meraviglia e alla trasfigurazione artistica delle emozioni, per quanto negative. Sentimenti come l'angoscia paralizzante, il disagio esistenziale e quel senso subliminale di incompiutezza e insoddisfazione che è tipico della giovane età dell'autrice vengono "sciolti" in versi grazie a una metamorfosi purificatrice che rielabora il "lutto" attraverso la sublimazione artistica: la poesia, ovvero la proiezione e l'idealizzazione lirica della sofferenza, assurge così a panacea salvifica e catarsi redentrice dello spirito, allentando con la sua dolce magia la morsa della malinconia e del male di vivere.