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Le idee del periodo classico, con Smith, e neoclassico, con Marshall, agevolarono l'affermarsi della "rivoluzione" del capitale umano degli anni Sessanta del Novecento. Un vero e proprio problema contabile interno della teoria della crescita, in quel decennio, isolò un residuo di valore che fu interpretato come risultato dell'investimento in capitale umano. La nuova entità contabile fu poi dimostrata nella sua corretta formulazione microeconomica raggiungendo la forma più compiuta nell'opera di Becker. Tuttavia, sin dagli stessi anni in cui il capitale umano veniva (ri)scoperto, si generarono perplessità di carattere metodologico. Esso dava vita a un paradigma strettamente imparentato con altre discipline sociali, tanto che una visione moderna lo ha ricondotto all'interno di un discorso scientifico dell'economia basato su argomentazioni retoriche.