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La sorpresa del lettore di Adorno è quella di cogliere nel filosofo un atteggiamento verso la musica di consumo che disattende le aspettative: ad onta delle note e pesantissime critiche contro tutta la storia del jazz, riconosce infatti alla produzione leggera una singolare autenticità e una dose d'ispirazione da cui la musica colta avrebbe molto da imparare. «Mauvaise Musique» tenta perciò di mettere a frutto una tesi tanto equilibrata cedendo al fascino che dal fondo d'una produzione solo in parte commerciale esercitano gli accenti d'una delizia «orgiastica» bandita dal repertorio elevato in cerca di progressiva razionalizzazione. La beata sicurezza di D'Amico, che pretende sia «musica» quella di consumo e ad un tempo «divertente» la seria, spinge l'autore ad un confronto costante fra due spazi che solo una «civiltà» inautentica ha costretto a separarsi: allibire davanti alla grandezza della Settima è d'obbligo, ma ci si può anche commuovere senza vergogna ascoltando per la centesima volta Richard Anthony lamentare «que c'est triste un train qui soufflé dans le soir», pronto a sentirlo per tutta la vita così come l'adolescente del Mahler «non potrà mai smettere d'attenderne il ritorno se lo avvertì per un attimo tra sonno e veglia».