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Divine e i suoi molti amanti abitano una Montmartre sgargiante: si ubriacano nei caffè fumosi, adescano clienti nei vicoli equivoci, si amano nelle soffitte disordinate e si torturano. Figure evocate da un narratore chiuso in cella - come Genet stesso, che compose il romanzo in carcere -, Divine, Minion, Gorgui e lo spietato Notre-Dame-des-Fleurs danno anima, corpo, voce a una rappresentazione rituale in cui nessuno può eludere il ruolo che gli è proprio - il Magnaccia, la Checca, l'Assassino, il Soldato, il Negro - e in cui la Parigi degli anni venti, scandalosa e appariscente, diventa palcoscenico di uno spettacolo che sembra la vita, ma è molto di più. Nata da ricordi personali e da personali ossessioni erotiche, frutto di un insopprimibile bisogno evasivo ed eversivo, nella prosa irripetibile di Genet la vicenda di Divine ha l'esemplarità trasognata della vita di un santo, e una forza visionaria tanto dirompente da portare i personaggi a travalicare i confini dell'intreccio e visitare, a guisa di apparizioni angeliche, il narratore incarcerato, confondendo ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma non importa, inutile gridare all'inverosimiglianza: l'unico modo per essere veritieri, dice il narratore, è mentire.