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Il romanesco ha conosciuto nei secoli profonde trasformazioni, in cui una costante sembra però evidente: il suffisso "-esco" lo connota come lingua delle classi sociali più basse. È stato a lungo la parlata dei servi, dei bulli, degli sbruffoni. Solo alla fine del Settecento, il dialetto diventa argomento di confronto, di polemica storico-letteraria, espressione di intellettuali colti e consapevoli. In questo panorama composito irrompe l'opera monumentale di Giuseppe Gioacchino Belli che dà voce alla plebe romana e nobilita il romanesco come lingua d'arte. Il volume è un'antologia della produzione dialettale fino alla fine dell'Ottocento, arricchita da ampie introduzioni e con brani riccamente commentati.