Tab Article
"Ciò che dura lo fondano i poeti? Più che meravigliati, increduli d'essere nel frattempo divenuti quasi vecchi, ci ritroviamo e ci riconosciamo dopo tanti anni proprio, forse, nella condizione di chi non ha ottenuto una cittadinanza o, meglio, ha capito che l'unica patria consiste non mai in una condizione stanziale, bensì nell'atto di cercarla. Certo il disinganno è forte: si parte pionieri e si finisce flaneurs. Nasce allora, come nel caso di Stefano, la stazione di una poesia gnomica, dissimulata dietro l'understatement diaristico, oserei dire una poesia dal sapore postumo, perché non più ritmata dal metronomo della tachicardia. Ma lo stato di quest'io poetante è una specie di mimetismo, una morte apparente, tradita dalle fibrillazioni del cuore che ama la vita tuttavia, se anche la vita si sia rimangiata per leopardiana abitudine tante delle sue promesse. Ne nasce, dico, un allegretto rapsodico, sibi et paucis, che è la chiave musicale di chi canta mettendo già in conto all'atto di parlare che si tratta con alta probabilità di un soliloquio perché non c'è chi ascolta [...]. "La poesia vorrebbe essere un vaccino" per le vicissitudini della vita, ma "la nostra è una generazione che non ha praticato nessun gioco di squadra. Non c'erano regole chiare. Come scendere in campo? Come condividere l'esperienza? Forse soltanto a posteriori, malinconicamente". E allora queste pagine possono esserci utili... (le frasi riportate sono tratte dalla prefazione di Sauro Albisani)