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Libro che ha anticipato l'attuale dibattito sulla post-modernità, "La fine dell'epoca moderna" (1950) è il luogo in cui Guardini dà il meglio di sé come filosofo e teologo. Con radicalità teoretica, ma anche con sensibilità letteraria, Guardini traccia i lineamenti dell'affermarsi dell'idea di modernità. Un'idea che si compie e disintegra con la prima guerra mondiale. Non è la logica stessa della modernità - si chiede Guardini - a metter capo ad un inaspettato ritorno del caos, interno ed esterno? "L'uomo sta nuovamente di fronte al caos... In questo secondo caos si sono riaperti tutti gli abissi delle origini". Che ne è del kerygma cristiano in quest'epoca che "non ha ancora un nome"? Con disincanto Guardini rigetta ogni nostalgia restauratrice. Certo, all'altezza dei tempi "la solitudine della fede sarà tremenda"; ma non v'è qui un kairós provvidenziale? "La fede diviene più parca, ma anche più pura e più grave": una fede in cui rivive l'idea cristiana di persona. E gli scuotimenti che caratterizzano la nuova epoca non comportano la necessità di reinterrogare i fondamenti del concetto di Potere? È quanto Guardini fa nel secondo saggio qui raccolto (1951), dispiegando una lucida, e straordinariamente attuale, analisi delle radici teologiche e antropologiche del potere.