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"Vittorio Pavoncello, con solita indomita creatività, si diverte a giocare con le parole, mettendo alla berlina il più celebrato dei sentimenti attraverso un catalogo di rime scelte. Giorgio Manganelli, altro provocatore di fama, in un romanzo del 1981 fa ciondolare l'amore tra nobiltà e turpitudine, gonfiandone la dignità fino al parodico e facendone risuonare la carnalità fino al suo intrinseco nulla, ma lo fa per vocazione alla verbalità, debordando, per quanto con dotta misura, verso l'irrealtà d'un sentimento difficile, sentenzioso, apodittico, stordente. Invece, Vittorio asciuga ogni possibile sproloquio in una lista di parole cristalline, quasi silenziose, incollate principalmente per rima e mescolate a istruzioni tecniche d'un linguaggio da elaboratore elettronico. Le due operazioni mi sembrano somiglianti, né si distaccano da una tradizione scherzosa che si può far risalire a Ovidio e a Catullo: quella dell'amore non sempre sacro, solo in apparenza con buona pace di Afrodite". Paolo Parisi Presicce