Tab Article
Uno scrittore italiano, che oltre a coltivare le lettere è appassionato di sport ma anche di scienze umane, tenta di spiegare a un amico, che lo interpella dall'altra parte dell'Oceano, perché i rapporti fra religione e scienza sono diventati così difficili, per non dire sospettosi o lontani. E si chiede che cosa sia per noi oggi la volta celeste. Per avere abbozzato una scienza dei cieli dove la religione se ne stava per conto proprio, Galileo Galilei fu condannato dal Sant'Uffizio. Cartesio lasciò ammuffire in un cassetto il trattato sulla luce dove esponeva la sua filosofia naturale. L'opera aderiva in gran parte alle tesi di Copernico, la Chiesa le condannava ed era bene non ricordargliele. Quanto a Giordano Bruno, non fu certo arso vivo nel 1600 solo per aver visto un cielo con tante più stelle di quelle che si osservavano allora... Detto questo, oggi religione e scienza vivono a distanza di sicurezza. Si possono anche ignorare, ma se invece provano a comunicare, la religione non gioca alla pari. Nei confronti della scienza moderna la religione si sente spesso in soggezione e, per il suo passato, in colpa. Gli scienziati oggi sono perlopiù atei o agnostici e molti difficilmente si pronunciano. Gli uomini di religione, invece, preferiscono il silenzio. Così non si sentono loro interventi sulla fuga delle galassie, sullo smisurato allargarsi dei cieli, sui quasar, sulle pulsar, sui buchi neri, sul multiverso, sugli esopianeti. Sembra non riguardino la fede. Il cielo, una volta, era un intoccabile feudo della religione, oggi è solo un simbolo spirituale. L'autore di questo libro si chiede perché questa incomunicabilità e cerca di disegnare sulla carta uno spazio dove scienza e religione, sebbene autonome nel loro ambito, collaborino a dare qualche risposta all'uomo della strada non solo sul funzionamento ma anche sul senso misterioso dell'universo.