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"«Dottor Pansa, lei non mi conosce. Mi chiamo Adele Grisendi e sono una comunista sofferente. Posso farle una domanda?». È iniziata così la mia vita con Giampaolo Pansa. Una storia d'amore intensa ed esclusiva. Per trent'anni e un mese ci siamo donati l'uno all'altra con fiducia assoluta, senza negarci nulla di quel che eravamo. Ci siamo protetti sempre. E amati con gioia, con ottimismo e allegria, godendo ogni attimo che il Padreterno ci regalava, divertendoci come ragazzi senza età. Insieme siamo diventati grandi, nel senso che siamo cresciuti, migliorati. Uniti abbiamo infranto il muro eretto dai Gendarmi della memoria e abbiamo affrontato l'odio e le volgarità che ne sono seguiti. Uniti abbiamo visto vecchi amici voltarci le spalle e, nel nome della reciproca umanità, ne abbiamo conosciuti di nuovi. Scrivere per Giampaolo era la vita. Desiderava che la nostra storia la scrivessimo insieme. Ma un libro dopo l'altro, il tempo è passato e quel progetto non l'abbiamo realizzato. Adesso sono io a scrivere di lui, del nostro incontro e delle giornate piene d'impegni, vissute sempre con serenità. Una serenità mai venuta meno, neppure quando è stato messo al bando dai suoi vecchi giornali e ha dovuto cambiare senza però rinunciare alle sue idee. Scrivo di lui bambino della guerra tornato di continuo agli anni tra il 1940 e il 1945, alla guerra civile tra italiani raccontata senza nascondere le verità scomode che pesano sui vincitori. Di lui attento osservatore dell'Italia per sessant'anni. Un'Italia divenuta sempre più irriconoscibile. Sempre più sull'orlo del burrone. Con lui ho condiviso tutto".