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In questa nuova opera Infernetti per un apolide, Marina Pizzi conferma ulteriormente la potenza della sua parola poetica. Quel fulmine che trascrive erige musicalità congenita, ogni frammento ha nella sua eversione cadenza di tamburo. La Pizzi sanguina in versi, l'ossessione è predominante, la poesia diventa al tempo stesso sconfitta e vittoria della propria vita. L'autrice romana si ostina ad esalare l'ultimo respiro con immagini persistenti di chi sa di essere ferito a morte, e del sangue fa la vera estinzione. Così il suo perire sono proprio le parole, quel cuore fluido vorticoso in cui ci si aggrappa per la propria liberazione, che solo dopo l'oblio darà al poeta la vera libertà, quella di essere ferito per sempre. Nel frattempo Mariana Pizzi continua a girare nella spirale ma vivrà per sempre. Ed è questo forse l'inferno pizziano: aspettare che la spirale si fermi e dica noi di cosa è fatto tutto il nostro vuoto.