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È un elogio della pittura, quindi, il suo; un'apologia che ha il sapore dell'inattualità, in alcuni casi, articolata in sequenze, brani di un discorso amoroso che ha avuto inizio per Facco dai tempi lontani dei primi disegni e che si è fatto via via più complesso, man mano che la sua mente entrava nel dispositivo pittorico scomponendo il meccanismo che lo regola. Per farlo l'artista ha avuto bisogno di sondare le diverse figure retoriche che regolano il nostro approccio percettivo all'idea di quadro, spaziando nei percorsi della storia dell'arte per fermarsi e approfondire un tema quando i suoi occhi incontravano un artista o un'opera che potessero fargli gioco. Non a caso, per spiegare il modus operandi di Facco, utilizziamo questa espressione. Egli gioca infatti mischiando i ruoli e le regole della dimensione pittorica con la disinvoltura di chi ne padroneggia i segreti e fa giocare noi, in qualità di spettatori, muovendo il nostro sguardo come farebbe uno scacchista esperto che dirige le sorti della partita prevedendo le mosse dell'avversario. [...]