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Arturo Reghini pubblicò nel 1925 sulla rivista Ignis uno studio interpretativo di uno dei più noti testi alchemici seicenteschi, un'ode a soggetto alchemico in lingua italiana, composta da tre "canzoni", preceduta da una prefazione in Latino e seguita da un proemio e da un commento. Tale opera era stata a lungo attribuita a Otto Tachenius, un medico, farmacista e alchimista tedesco del XVII° secolo, ma Reghini intuì che questi non poteva esserne l'autore, che sarebbe dovuto essere identificato in area italiana. E infatti, nel 1956, lo storico della Massoneria Pericle Maruzzi dimostrò in un suo articolo l'effettiva paternità di questo misterioso ed enigmatico testo: ne era stato autore il Marchese Francesco Maria Santinelli, un nobile ed iniziato pesarese, poeta e cultore di Alchimia, Ermetismo e discipline misteriche ed esoteriche, molto vicino alla Regina Cristina di Svezia. Un personaggio straordinario e dalla vita avventurosa e rocambolesca, destinato a divenire, al pari di Massimiliano Savelli di Palombara, Francesco Borri, Athanasius Kircher e Federico Gualdi, uno dei principali animatori delle accademie e dei circoli ermetici ed iniziatici del suo tempo.