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Il delitto di Cogne, al di là dell'impressionante e morbosa attenzione mediatica che gli è stata riservata e della sapiente intelaiatura giuridico-processuale che lo connota, è uno spaccato lirico ed emozionante del dramma umano di solitudine e d'angoscia che suole stringere in una morsa di disperazione inesorabile la persona imputata davanti all'immaginario del Grande accusatore e al mistero profondo della sua coscienza. Enzo Tardino ripercorre tutte le fasi della vicenda, non solo da un punto di vista strettamente giuridico, ma anche prendendo in considerazione il contesto socioculturale in cui è avvenuto il misfatto, quello di una piccola comunità montanara in cui la solidarietà tra i suoi componenti è un valore fondamentale, ma la discrezione e la riservatezza sono qualità ancora più apprezzate e importanti. In questo scenario pacifico, silenzioso come la neve che imbianca le cime delle montagne, la morte improvvisa e inspiegabile di un bimbo indifeso arriva come un fulmine a ciel sereno. Quella che all'inizio sembra una tragedia imprevedibile, ben presto si delinea come un orrendo infanticidio. L'autore racconta tutto l'iter che ha portato a individuare nella madre la principale indagata per l'uccisione del figlio, inframmezzando il resoconto cronachistico con sue riflessioni personali e affidandosi, talvolta, all'immaginazione letteraria per raccontare l'indicibile. Alla lucida esposizione delle tappe processuali si affianca l'insopprimibile chiacchiericcio dell'opinione pubblica, cui fa da sponda un certo giornalismo non sempre di alta levatura. In questo marasma di supposizioni, pareri, pettegolezzi, l'autore si sofferma anche sui punti oscuri del caso, tuttora non chiariti.