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Vedete, ragazzi, i poeti sono una specie umana particolare. Sono continuamente in volo, verso dove neppure loro lo sanno. Simili agli albatri baudelairiani non si trovano a loro agio sulle terra ferma, brancolano, zoppicano, vanno a tentoni; non stanno in equilibrio. Sì, sono nati per volare verso un'isola lontana, che nemmeno la si vede col cannocchiale. E intraprendono viaggi su zattere fragili e precarie, avventurandosi su rotte di difficile navigazione. Si impigliano in secche, sbattono su scogli irti e aguzzi, trovano bonacce, venti che scompigliano le vele; e spesso, con quello che resta dell'imbarcazione, mirano all'isola dei loro appagamenti. Il fatto sta che non vedono fari, non scorgono stelle, e, continuando nel buiore degli abissi, cadono in depressione, nel malum vitae, nello spleen, rendendosi conto dell'impossibilità di ultimare il loro percorso; dell'improbabilità dell'impresa. D'altronde il viaggio è un po' nelle corde degli umani.