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[...] We lost the sea è un'installazione cinetica concepita come dispositivo scenico, una macchina teatrale che non ha timore di mostrare i suoi trucchi e i suoi ingranaggi ma che, anzi, ricerca nell'artificiosità del teatro la sua dimensione poetica. La platea prende la forma di un pontile, elemento aggettante rispetto alla terraferma che consente di vivere un'esperienza ravvicinata, inclusiva, di relazione intima con l'opera e con l'universo naturale sintetizzato e sintetico che rappresenta. Sintetico è il materiale, la vetroresina, di cui sono fatte le cisterne per la raccolta dell'acqua piovana, qui utilizzate come contenitori di brani di mare palermitano. Sintetico è il soffio meccanico dei ventilatori; sintetici i fogli di mylar ancorati alle cisterne che, muovendosi e sventolando come altrettanti aquiloni, generano riflessi di luce provenienti dalle profondità marine. Sintetico, infine, è lo sguardo dell'artista che condensa entro i limiti dello spazio scenico il sistema fluido acqua-aria-luce, sistema generatore del respiro della terra, evidenziandone le costrizioni, i patimenti, le apnee. [...]