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Introducendo la precedente edizione di "Paesaggio Italiano" avevo parlato innanzi tutto di quella speciale qualità dell'arte italiana che consiste nell'assimilazione naturale della nostra tradizione artistica, della nostra storia. La nostra identità è forte e inequivocabile, le nostre origini evidenti. Questo è vero, notavo, come altrettanto vero è che oggi è impossibile parlare dell'Italia senza farlo (anche) attraverso uno sguardo dal di fuori e un serrato confronto con l'esterno. Quella di oggi è una generazione dotata di sguardo interno/esterno, la generazione dei radicanti di cui parla Nicolas Bourriaud, con formazione itinerante, con radici multiple e mobili e nostalgie dislocate in culture diverse. Gli italiani hanno sempre sentito molto le proprie radici e forse questo si fa più forte nel momento in cui l'idea stessa di radici è messa a rischio. Mi ponevo alcune domande: "Sarà permesso ancora a qualcuno di avere radici? Le nostre radici non saranno più solo nostre? E avremo anche noi le nostre radici altrove?" e concludevo: "Certo che le radici non stanno più solidamente piantate a terra. Ora l'artista sta tra radicamento e sradicamento."