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Pavese, senza dubbio e, di sicuro, il Pirandello della pluralità dell'io. Esplicitamente Brecht e Vian. Senz'altro, quell'umore che viene dalla scuola esistenzialista: di Sarte, molto verosimilmente e di Camus per derivazione approssimativa. In maniera allusiva, s'intuiscono l'innominato Heidegger, alcuni lampi sulfurei di Friedrich Nietzsche e, per sorprendente rassomiglianza metabiografica, Carlo Michelstaedter. E poi, il pessimismo di Leopardi, il romanticismo di Foscolo, il decadentismo di Pascoli. I maledetti Baudelaire e Rimbaud e il maledettissimo Céline, per spirito di contraddizione alla buona norma borghese. E lo scandaloso Ovidio. Sono queste le carte, quasi sempre coperte, che abbiamo in mano per decifrare l'enigma che Luigi Tenco ha lasciato dietro di sé, inciso per sempre nel calco delle sue canzoni.