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Il mondo alpinistico rimase esterrefatto nel 2012 alla notizia che Patrick Edlinger, "l'uomo che ha inventato l'arrampicata", era morto per una banale caduta lungo una scala di casa sua. Protagonista assoluto dell'arrampicata libera negli anni tra gli ottanta e i novanta, aveva iniziato fin da ragazzo a muoversi come un ballerino sulla roccia e poi era diventato famoso per le sue scalate sulle pareti del Verdon, su difficoltà allora impensabili. Atletico, biondo e bellissimo, la sua immagine in azione su pareti lisce e verticali era diventata popolare su libri e riviste e grazie a un film. "La vie au bout des doigts", che mostrava per la prima volta l'arrampicata come un capolavoro di eleganza. Nel 1995 un incidente nelle Calanques marsigliesi lo costrinse ad abbandonare l'arrampicata estrema, ma Patrick non abbandonò mai del tutto la sua attività e si trasferì nel Verdon proprio per essere vicino alle sue pareti più amate. Questo libro è la sua biografia. Anzi, secondo Jean-Michel Asselin, che lo ha scritto, è idealmente un'autobiografia di Patrick che Jean-Michel ha scritto quasi sotto dettatura, riportando le sue parole, i suoi ricordi, i suoi pensieri, i suoi sogni - tutta la sua vita. Edlinger era molto amato, ma anche molto invidiato per il suo successo strepitoso. Eppure lui era un uomo semplice e schivo. La fama gli era piombata addosso quasi come un peso insostenibile. Negli ultimi anni dalla sua vita era depresso e si era allontanato dal mondo alpinistico. Jean-Michel Asselin era uno dei suoi più intimi amici; solo lui poteva tracciarne un ritratto veritiero, che stupirà i molti lettori che di Patrick hanno conosciuto soltanto l'aspetto pubblico di "dio dell'arrampicata".