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Un amore (ferito? feroce? finito?) che picchia in testa, che frantuma le ore inattese d'attesa, fatto di sigarette non fumate e di silenzi bianchissimi. Una perdita innanzitutto chimica, di quella di cui sono fatti i sogni, forse anche i bisogni: Shakespeare, Marlow. Restano i segni, i legni di una croce che si fa iconica e ironica nel dosato rilascio di quotidiane, domestiche tossine: un interno giorno abitato da fantasmi beffardi, nature morte, materia viva, un "inferno" notte in cui disperanti pensieri si alternano a soluzioni oniriche. Dove il dolore si trasfigura in dialogo, dove ogni momento passato ridiventa scalfittura (feritoia) di un piccolo monumento ai caduti - più spesso un balsamo che lenisce le presenze assenti e i silenzi essenti, una cura del dopo - e dove il "nero" del titolo è in realtà una scala di grigi, una terra di mezzo in cui tutto accade e scade (questa la morale della favola: nessuno vince, nessuno perde, ognuno gioca la sua "dipartita").