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Muovendo la cima, quasi fosse una lingua, apparentemente con fatica, la fiamma comincia a parlare. Da questo momento quella voce è un assolo, risuona nel vuoto oscuro destando echi e immagini, e diventa l'unica protagonista del canto, che si chiude, drammaticamente, quando si chiude il racconto, letteralmente nello stesso punto. Gli altri personaggi scompaiono: scompare Diomede, ma anche Virgilio e lo stesso Dante; nulla interrompe la narrazione. Certamente è un po' un seguito ideale del lungo racconto che Ulisse fa nell'Odissea. Lì era tutto finalizzato al ritorno alla petrosa Itaca, dopo una guerra e un vagare avventuroso ma non cercato, forzato dagli eventi e dall'ira degli Dei. Qui invece è l'irrequietezza che come un vizio si insinua nella mente e nell'anima. "... e volta nostra poppa nel mattino, rotta a sud-ovest, de' remi facemmo ali al folle volo", una tragedia sintetizzata in un solo verso, terribile nella temerarietà che descrive. La solitudine di questi naviganti, vecchi e stanchi, su un piccolo legno, persi nell'immensità dell'oceano, è davanti agli occhi del lettore, come se in quella barca ci fosse anche lui; infatti Dante sentiva di esserlo...