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Questa nuova silloge poetica di Salvatore Terranova ha un titolo che si pone in una continuità oppositiva con il titolo della raccolta precedente, quasi a formare un breve periodo ossimorico, attraverso il quale il medico poeta mette in evidenza il processo di maturazione interiore che progressivamente lo ha indotto ad abbandonare la negatività e a trovare proprio nella poesia il farmaco più adatto a curare sia il corpo che l'anima. La poesia dunque diventa strumento salvifico che, attraverso la comunicazione, sublima le emozioni e i sentimenti, curando infine tutto il male, sia quello fisico e sia quello interiore. Dunque quella repulsione che egli sentiva nei confronti della letteratura, quando ragazzino, i metodi didattici dell'epoca lo costringevano all'apprendimento mnemonico di lunghe poesie, piuttosto che giocare fuori al sole e all'aria aperta con i suoi coetanei, viene dimenticata e sostituita dalla sacralità della poesia quale dea salvifica che libera l'anima, cura il corpo, ed è compagna ed amica fedele a cui raccontare, parlare, affidare se stesso, nella totalità del suo essere, accorgendosi che essa sublima le passioni, lenisce le sofferenze.