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Roberto R. Corsi ha questo paradosso: essere tanto gioviale come uomo quanto lucidamente tragico come poeta. Per di più non è facile da gestire: usa il verso alessandrino per esprimersi sui fatti di cronaca, ama i calembour e i giochi di parole, è pieno di collegamenti ipertestuali che spaziano dall'economia al cinema al campionato di calcio, legge e cita i poeti, non necessariamente blasonati, che sono ancora in vita e soprattutto ha un vocabolario da spendere e lo spende senza far finta di essere uno che viene dalla strada: insomma, il Corsi è spesso troppo colto per l'odierno panorama italiano. Per questo motivo, il poeta tragico che è in Corsi si guarda intorno e come un Calimero, quasi vergognandosi di essere tragico - in un mondo che chiede la tragedia ma servita con ghiaccio - si nasconde sotto il guscio del suo eteronimo, ne indossa la pelle, gli abiti, di quell'uomo così facile alla battuta, e stempera con una bella risata tutto il male che ci seppellirà.