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Dietro consiglio di un amico, l'autore decide di sottoporsi a una «grafoterapia»: inizia a scrivere quotidianamente su un quaderno nella speranza che, insieme alla grafia - se è vero che rispecchia il carattere - anche il suo equilibrio psicofisico ne tragga giovamento. Dovrà ben presto arrendersi all'incapacità di concentrarsi sul mero esercizio calligrafico, finendo per affidare alla pagina sogni, aneddoti e riflessioni sulla vita, la famiglia, l'atto dello scrivere, il (non)senso dell'esistenza. Un diario paradossale, umoristico, melanconico e non-poi-così-intimo che denuncia l'impossibilità di produrre un discorso vuoto. Perché «è possibile lasciarsi portare dalla vita per poi ritrovarsi al momento giusto nel posto giusto, e questo "lasciarsi portare" è il modo di essere protagonisti delle proprie azioni - quando si è arrivati a una certa età».