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Nella società siciliana di inizio Ottocento i nuovi notabilati nati all'ombra della riforma amministrativa e dell'assetto post-feudale si trovarono a gestire un potere effettivo, intellettuale e simbolico, di notevole rilevanza. Una società in via di assestamento, in cui i rapporti di dipendenza e subordinazione apparivano strutturati, ma che rivelava, nelle fasi di rottura rivoluzionaria, momenti di osmosi interclassista. La ricerca si muove su due livelli d'analisi: quello dei rapporti effettivi di patronage e dipendenza riguardanti notabili e classi popolari, e quello simbolico relativo al monopolio da parte delle classi pensanti di una sapiente strumentazione culturale in grado di creare consenso attorno a certe istanze politiche. Nelle prime battute la sommossa palermitana del '48 si caratterizzò per una partecipazione popolare esigua. Fu necessario l'intervento delle squadre e l'adesione del patriziato e del notabilato cittadino per imprimere una svolta e dare sostanza alla rivoluzione. L'irruzione sulla scena delle squadre rivelò un aspetto inquietante, ma che rimase una costante nelle rivoluzioni siciliane: il compromesso tra elemento patriottico e delinquenza comune.