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Schopenhauer è considerato il salice piangente della filosofia per via del suo pensiero improntato a un profondo pessimismo. Egli sostiene che la natura non può provare tristezza, poiché gli esseri umani sono suoi figli che morendo ricadono nel suo letto. Altrove egli afferma che gli uomini non avrebbero scrupoli a far dei propri simili grasso per i propri stivali. Sulla scorta di tali presupposti il filosofo tedesco, dopo aver subito un'autentica fascinazione per il pensiero orientale, sviluppa e declina una personale dottrina dell'immortalità, uniforme rispetto alle sue argomentazioni metafisiche incentrate sull'architrave del primato della Volontà. Egli, brandendo il lume della ragione, si proclama ambasciatore dell'ignoto. Definire Schopenhauer un profeta può sembrare provocatorio, ma in qualche misura ben fondato. A partire dalla viva voce delle sue opere e dalla definizione che Schopenhauer dà della sua stessa filosofia, come di una Tebe dalle cento porte, accessibile da qualsiasi parte si entri, si tenterà di ricostruire un pensiero interpretativo organico e coerente con tutto l'impianto della sua concezione sistematica. Può l'uomo arrestare la clessidra del tempo e cogliere anche soltanto un frammento d'immortalità?