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Esiste la remota possibilità che, leggendo questo romanzo, si determini un cambiamento sostanziale delle convinzioni generalizzate sui lavoratori della pubblica amministrazione. Appunto, remota. L'autore non ha la pretesa, né crede sia possibile in un arco così ristretto di parole e pagine, di impedire che il pregiudizio sui pubblici dipendenti prevalga su un punto di vista coraggiosamente diverso. Ma ha l'esigenza, quella sì, di riabilitare una peculiare consuetudine del dipendente pubblico, che nell'immaginario collettivo è un'atavica quanto deprecabile abitudine, ovvero la pausa caffè. Perché, ci si consenta la provocazione, è proprio la pausa caffè a dare un senso alla vita lavorativa di colui che, seppur indegnamente, tuttavia tenta di dare un contributo al funzionamento della macchina statale.